
Memorie agrodolci di avventure entomologiche in terra magrebina, tra i dolori di un’anguria mal digerita e l’emozione di una (ri)scoperta scientifica sorprendente quanto inaspettata.
Testo di Roberto Battiston
Foto di Raffaele Negrin e Adriana Marzotto
Ricordo con sapore agrodolce l’ultimo giorno della spedizione marocchina del 2011. Primi giorni di Giugno, ultima tappa del Progetto Apteromantis in terra Africana. Un viaggio di oltre 400km tra i suggestivi paesaggi mediterranei a confine con i grandi deserti del Marocco alla ricerca dell’Apteromantis bolivari, una mantide perduta di cui non si avevano più notizie da oltre mezzo secolo e che qualcuno iniziava a pensare che fosse addirittura estinta. Grazie alla tenacia dei membri della spedizione, l’entomologa Adriana Marzotto ed il naturalista e documentarista Raffaele Negrin oltre allo scrivente e firmatario del progetto presso l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), il piccolo e schivo insetto era stato infine stanato nei dintorni della città imperiale di Fés. L’impresa era stata ben documentata nei giorni precedenti dal nostro documentarista che aveva stivato nelle sue memory card parecchi gigabyte di materiale video unico ed eccezionale, ritraendo per la prima volta il misterioso animale nel suo ambiente naturale. Da parte mia avevo raccolto campioni sufficienti a dipanare dubbi sull’incompleta tassonomia del genere Apteromantis assieme a numerose ed interessanti osservazioni sulla biologia delle mantidi nordafricane. Tornavamo quindi verso casa soddisfatti, pronti a raggiungere in serata l’aeroporto di Casablanca con cuor leggero e con un’importante missione compiuta alle spalle.
Tutto bene quindi?
No.
L’esimio scrivente infatti il giorno prima aveva avuto l’incauta idea di festeggiare il successo della spedizione consumando una quantità ardita di anguria magrebina ed il suo meno esimio intestino non aveva retto tanta goliardia. Attanagliato da malevoli crampi al basso ventre non vedevo l’ora di imbarcarmi sull’aereo e dormire degnamente nel comodo letto di casa.
Fu verso metà pomeriggio, sull’asfalto torrido della National Route 1, che collega Rabat con Casablanca, quando Raffaele incrociò il mio sguardo mesto che vagava tra i cespugli del litorale atlantico. Non so se fu la pietà nei miei confronti o la stanchezza complessiva del viaggio ad indurlo a chiedermi: – Che dici, facciamo una pausa? Ne approfittiamo per campionare una decina di minuti qui lungo la strada? Te la senti?
Annuii facendomi forza – Sì, il posto sembra interessante, e che il diavolo mi prenda se butto via a causa di un’anguria il mio primo ed unico campionamento sul un litorale atlantico di questa spedizione!
Accostammo l’auto sul ciglio della strada, estraemmo i retini da sfalcio ed iniziammo ad addentrarci tra opunzie in fiore e graminacee ingiallite dal sole. Già il sole, un sole davvero spietato per chi ha in corpo una cucurbitacea infida e mal digerita che fiacca il corpo e demoralizza lo spirito. Ricordo il caldo africano, condiviso peraltro con una piccola neanide di Mantis religiosa, anch’essa un po’ frastornata e boccheggiante e tante, coloratissime libellule.
Poi improvvisamente qualcosa di grosso sbucò dal mio retino.
Qualcosa di davvero grosso. Un insetto slanciato e delicato simile ad un fuscello di paglia, una mantide elegante, ma decisamente troppo grande per trovarsi in un posto come questo abitato a fine primavera solo da minute giovani neanidi ancora all’inizio della loro vita. Una mantide ancora immatura ma lunga già almeno sette od otto centimetri, che avrebbe troneggiato anche sui migliori esemplari di Mantis religiosa o Sphodromantis viridis, le specie marocchine più massicce.
Mi venne in mente un’idea, ma subito la scartai.
Ritornò, e per la seconda volta non volli darle ascolto.
Al terzo tentativo iniziai a credere all’incredibile.
Tanti, tantissimi anni prima, all’inizio del scorso, nel lontano 1933 il celebre entomologo Boris Uvarov raccolse una strana mantide nei dintorni di Rabat, una mantide troppo grande per essere confusa con altre, sicuramente appartenente al genere Tenodera, gruppo che comprende alcune tra le mantidi più grandi e ad ampia distribuzione nel mondo. Uvarov rimase sorpreso poiché sebbene questo genere fosse noto per l’Africa centrale con la specie superstitiosa, la sua struttura generalista, priva di specializzazioni adattative per ambienti aridi, non le avrebbe consentito di sopravvivere attraversando l’infernale deserto del Sahara per spingersi fino al Marocco. Uvarov descrisse quindi l’insetto come una nuova specie, diversa dalla Tenodera superstitiosa centroafricana e la nominò Tenodera rungsi, dedicandola all’ amico e collega Rungs. Il singolo ritrovamento di una femmina adulta, oggi conservata nelle collezioni del Natural History Museum di Londra, non gli permise tuttavia di sbilanciarsi in molte altre considerazioni, se non di segnalarne la stranezza. Venimmo in seguito a sapere che altri quattro esemplari furono avvistati negli anni seguenti a sud di Rabat, avvistamenti però talmente frammentari che fecero dubitare della reale identità di questa specie. Forse si trattava solo di esemplari di Tenodera supertitiosa introdotti artificialmente, o magari erano semplicemente frutto di un qualche errore di identificazione o cartellinatura. Insomma nessuno diede più di tanto credito all’esistenza di una Tenodera mediterranea anche perché oltre a quei 5 esemplari nessuno la vide più né in Marocco né altrove. La Tenodera rungsi quindi scomparve, dimenticata nei vecchi annali di entomologia.
Fino ad ora.
La giovane femmina che avevo davanti e che cercava goffamente di ingannare il mio sguardo muovendosi come un ramoscello mosso al vento, non poteva essere che lei: la perduta mantide di Uvarov.
Passarono copiose manciate di istanti. Quegli istanti in cui il cervello realizza di avere davanti a sè qualcosa di eccezionale, quando inizia a sparare dopamina ed altri inebrianti neurotrasmettitori in giro per il corpo, mettendo al bando fatica, caldo ed angurie assassine. Quegli istanti che Jack London avrebbe definito come “l’estasi, la felice dimenticanza che aggredisce l’artista e lo trae fuori di sé avvolto di fiamma”. Solo dopo tutto ciò comunicai la prodigiosa notizia ai compagni ed i retini tornarono subito a calare con gran foga tra la vegetazione cercando conferme a quell’incredibile incontro.
A circa un anno e mezzo da quel soleggiato pomeriggio di Giugno, dopo lunghe riflessioni, analisi, confronti di dati, esami del materiale storico e tutto quanto concerne la ricerca scientifica “da laboratorio”, i primi risultati di quella spedizione vengono ora pubblicati sul bollettino dell’Università di Rabat, istituzione assieme a cui è stato portato avanti il lavoro di ricerca.
Molte riflessioni e considerazioni sono state aggiunte a quei primi istanti di euforia, considerazioni sulla tassonomia e sulla biogeografia, come la possibilità che si tratti in effetti di una popolazione di Tenodera superstitiosa lasciata come relitto evolutivo durante le migrazioni di epoche passate, quando il Sahara non era ancora un deserto, dimostrando la complessità ecologica di queste terre. O forse questa tenodera mediterranea è rimasta separata abbastanza a lungo da meritarsi il rango di specie, come peraltro le prime misure morfometriche suggeriscono.
Per questo analisi genetiche e morfologiche sono ancora in corso d’opera ed il mistero di questa mantide dunque non è ancora stato risolto. Tutti noi ci siamo tuttavia sentiti in dovere di comunicare ora alla comunità scientifica internazionale la riscoperta di questi due straordinari animali. L’Apteromantis bolivari per la sua importanza nell’esistente normativa internazionale per la tutela della fauna selvatica che al momento include soltanto la sua sorella iberica, l’Apteromantis aptera e la Tenodera (superstitiosa?) rungsi scomparsa per più di mezzo secolo e riapparsa oggi con una sola popolazione vitale nota, quindi potenzialmente davvero minacciata di estinguersi. Una manciata di individui, grandi nella stazza ma delicati come ramoscelli, che per il momento si godono il caldo sole africano sul litorale atlantico del Marocco. E magari talvolta si voltano divertiti ad osservare i disastrati turisti italiani che si fermano a cercare un po’ d’ombra, sul ciglio della strada che porta verso Casablanca.
Per approfondire:
Documentario “Apteromantis un salto senz’ali”