24
Feb

“Grigio Lataste” – una digressione non entomologica

Il tentativo di registrare le vocalizzazioni della Rana latastei Boulenger, 1879 non sarà la più grande avventura del genere umano, ma merita di essere raccontato: fare bioacustica per passione significa, spesso, lavorare al buio in luoghi belli ma disagevoli. Ovvio che, se te lo sei cercato, non puoi né lamentarti né fare l’eroe….

Testo e foto di Cesare Brizio

… ma intanto ci siamo!

Ritrovo in luogo pattuito, in serata lavorativa, con la nebbia dietro l’angolo e il tempo che è sempre poco. Una serata di Febbraio non fredda come quella, bianca di brina, in cui quattro anni fa, riuscii a registrare la Rana di Lataste poco, male e da lontano. E in cui mangiai una pizza di cui mi ricordo ancora adesso, ripagando in qualche modo la coraggiosa compagnia che Alessandra aveva accettato di farmi nel gelo.  Allora avevo un idrofono autocostruito, questa volta calerò nelle acque ferme del Busatello il mio “H2a” Aquarian. La specie in questione è la più precoce nel periodo di accoppiamento, ed emette il suo canto subacqueo anche sotto il ghiaccio. Ghiaccio che stavolta non c’è.

Questa volta Marco, sherpa di eccezione, ornitologo e bioacustico ben noto a chi sta seguendo le vicende della nostra rete in costruzione, è presente di persona: quattro anni mi teleguidò sul posto, per telefono e mail. Che sia competente sul tema, lo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la pagina Web di Marco sulla Rana di Lataste: e che registrazioni! Completa il terzetto Federico, naturalista estremamente a suo agio al Busatello e ferrato ornitologo pure lui.

Il buio al Busatello

Nel buio, insieme

La faccio breve, perchè non c’è molto da raccontare: questa volta la Rana latastei non si è trovata (anche se Marco e Federico ci sono riusciti la settimana successiva, ma solo per sentire due esemplari cantare fuor d’acqua) e il fatto può essere letto in alcuni modi diversi, nessuno particolarmente piacevole, e tutti comunque allusivi a un diradarsi di questa specie proprio nei luoghi (ontaneto umido, stagno didattico) in cui era possibile, o addirittura facile, sentirla fino a pochi anni fa.

E’ comunque un bel ricordo la nostra piccola processione, nel buio, sul fango gelato, il tonfo soffice e ritmato degli stivali ad ogni passo, le torce elettriche alla mano o alla fronte, con le canne sulle spalle e i registratori innescati, lungo l’argine e poi sulla passerella, lungo gli specchi d’acqua, nei fossati laterali, presso le piccole chiuse idrauliche. Ovunque possibile, e sempre attenti a non scivolare, la quasi rituale calata degli idrofoni in un silenzio religioso, interrotto solo dai secchi e competenti commenti dei miei compagni di avventura (“Porciglione!”, “Airone bianco, hai sentito?”).

E’ comunque un bel ricordo lo scenario da grisaglia cupa (di cui l’immagine sopra rende vagamente l’idea) nel quale si è svolta la nostra oretta di raccoglimento, con Orione a brillare e il vapore a condensarsi dalla terra, e dal nostro respiro calmo mentre, con le pupille ormai adattate al buio, ci scambiavamo isolati commenti. Poi, di nuovo alle macchine, i saluti e il ritorno verso casa e verso la meritata cena.

Cosa volete che vi dica… questa per me è una spedizione riuscita, perchè registrare non è tutto: il “genius loci” si ascolta in silenzio, nell’odore della terra umida e fredda, con Orione a vigilare, e la sua cintura a cui attaccarsi nei momenti di dubbio.

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