La diapausa stagionale è un meccanismo che consente agli insetti (ma anche altri animali) di superare periodi sfavorevoli alla loro sopravvivenza. Tipico è il caso della diapausa invernale, in cui l’insetto resta in una forma quiescente per tutto il periodo invernale finchè le condizioni climatiche non garantiscano i normali ritmi vitali e rendano disponibili le fonti nutritive (per esempio una specie i cui bruchi vivono a spese di piante arboree a foglia caduca, che dunque in inverno sono prive di foglie).
Oltre che dall’innalzamento della temperatura, l’interruzione della diapausa con la ripresa dello sviluppo può essere indotta anche dalle variazioni di umidità ambientale: in vari Saturnidi tropicali il periodo di sfarfallamento coincide con la stagione delle piogge: in questo caso una nebulizzazione abbondante con acqua leggermente tiepida per alcuni giorni può essere determinante nel favorire lo sfarfallamento entro le settimane successive. Altre specie vanno incontro a una diapausa estiva, di cui un esempio lo abbiamo anche nella nostra lepidotterofauna: la Cavolaia maggiore, in alcune delle regioni del suo areale di distribuzione dove è presente in più generazioni, presenta sia una diapausa invernale allo stadio di crisalide, sia una diapausa estiva in cui la crisalide ritarda lo sfarfallamento fino alla fine dell’estate, quando l’abbassamento delle temperature a valori meno torridi e la ripresa delle piogge sono più favorevoli allo sviluppo delle piante ospiti dei bruchi di questa specie. Ci sono anche specie con diapausa estiva allo stadio adulto, cioè allo stadio di farfalla, come alcuni Satiridi.
Questi meccanismi di estivazione in molti casi si sono evoluti a causa dell’alta mortalità di larve in tali stagioni, per una minore disponibilità delle piante ospiti.
Ma come fanno le farfalle a “capire” se devono entrare in diapausa o no? Uno dei fattori responsabili è il fotoperiodo (cioè la durata dell’illuminazione diurna, in termini di ore di luce giornaliere): in molte specie i bruchi nelle ultime settimane di sviluppo reagiscono alla variazione del fotoperiodo, talora concomitante a variazioni di temperatura ambientale, con cambiamenti a livello ormonale: se il numero di ore di luce giornaliera è stato per un certo tempo al di sotto (o al di sopra, nel caso della diapausa estiva) di una certa soglia, il bruco quando andrà in ninfosi produrrà una crisalide che andrà in diapausa.

Bruco di Lasciocampa quercus (Lasiocampidae), una specie che si può incontrare d’inverno a questo stadio.
Nelle specie tropicali, dove la variazione del fotoperiodo tende a essere nulla man mano che ci si avvicina ai tropici, la diapausa è legata principalmente al mutamento della frequenza delle piogge.
Sembra che nell’induzione della diapausa possano essere implicate anche modificazioni chimiche nella composizione delle foglie delle piante ospiti dei bruchi, in corrispondenza dei mutamenti stagionali.
Come fanno le crisalidi in diapausa invernale a capire quando possono risvegliarsi? L’esposizione prolungata alle basse temperature invernali è coinvolta in un altro meccanismo di regolazione ormonale che sblocca la quiescenza e fa sì che la pupa riprenda lo sviluppo.
Alcune specie, come Lasiocampa quercus, passano l’inverno allo stadio di bruco: non c’è una vera e propria diapausa, in quanto spesso i bruchi di queste specie in caso di giornate invernali particolarmente miti e soleggiate possono riprendere temporaneamente ad alimentarsi. Infine, altre specie vanno in diapausa allo stadio di uovo (come la Lymantria dispar) o anche allo stadio adulto (come ad esempio la Vanessa atalanta): molte di queste specie si accoppiano nel tardo autunno ma per tutto l’inverno la maturazione degli ovari è bloccata, pertanto deporranno le uova nella primavera dell’anno successivo: la cleopatra (Gonepteryx cleopatra) e le vanesse Inachis io, Aglais urticae e Vanessa atalanta ne sono un esempio. Altre specie invece si accoppiano solo in primavera dopo aver svernato.

La Vanessa atalanta (Nymphalidae) sverna di solito allo stadio adulto.
In molti casi è importante rispettare questi cicli anche in allevamento, per cui , nel caso della diapausa invernale, le specie che in natura affrontano l’inverno in un determinato stadio andrebbero di norma conservate a bassa temperatura durante tale stagione. Spesso infatti può accadere che lo sviluppo non possa riprendere (es. mancato sfarfallamento o mancata schiusa delle uova) se non sottoposte a un periodo di freddo, che è necessario per innescare dei meccanismi ormonali responsabili dell’interruzione della diapausa e la ripresa dello sviluppo. Un “inverno artificiale” può essere garantito tenendo gli individui svernanti all’esterno in ambiente riparato dal sole diretto e dalle intemperie.
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