
Come fanno le lucciole a produrre la luce e come è nato questo straordinario meccanismo? Una recente ricerca ha finalmente svelato l’anello mancante di questa affascinante storia evolutiva.
Testo di Roberto Battiston
Una bella pubblicazione estiva, da leggere la sera in un fresco prato sotto il cielo stellato e circondati dalla fioca luce balenante delle lucciole, quella di Viviani e colleghi dell’Università brasiliana di Sao Carlos (UFSCAR). Gli scienziati hanno da poco fatto luce (è proprio il caso di dirlo!) su quello che è uno dei più strabilianti fenomeni naturali: la bioluminescenza ossia la capacità di alcuni esseri viventi di produrre luce a comando all’interno del proprio corpo. E’ noto che il processo è probabilmente nato in alcune ancestrali meduse più di 400 milioni di anni fa ed è stato poi adottato da molti altri organismi molto diversi tra loro come molluschi, pesci, batteri ed alcuni gruppi di insetti come lampiridi, elateridi e fengodidi. La cosa interessante di questo fenomeno è come questo possa trovarsi oggi in organismi così distanti e diversi tra loro, lasciando supporre un’evoluzione indipendente nei vari gruppi del tutto misteriosa. Mentre alcuni organismi, come molti pesci abissali, non sono di per sé capaci di produrre luce ma utilizzano dei batteri bioluminescenti simbionti che vivono al loro interno per farlo, altri organismi, anche di una certa complessità come le lucciole, sono invece artefici diretti del meccanismo.
La bioluminescenza nelle lucciole gioca infatti sull’instabilità chimica dell’enzima della luciferasi e del suo substrato, la luciferina che passando a livelli energetici inferiori libera energia sottoforma di radiazione luminosa, illuminando l’addome delle lucciole di colori diversi (dal rosso al verde e al giallo) e ad intermittenze diverse a seconda della specie.
Il team di Viviani è invece riuscito a fare un po’ di chiarezza su questo meccanismo e a mettere insieme due straordinarie scoperte. Prima di tutto sono riusciti a descrivere per la prima volta un enzima rudimentale molto simile alla luciferina presente in alcuni coleotteri Tenebrionidi del genere Zophbas che in natura non sono in grado di emettere luce. In secondo luogo sono riusciti a sintetizzare la mutazione che rende tale enzima, e quindi l’insetto stesso, luminescente. L’interruttore che accende l’enzima e ha permesso di passare dalle tenebre alla luce e a far brillare le larve di Zophobas, sembra essere un trasporto ossidativo stereoselettivo con la D-Luciferina.
Una mutazione denominata I327T/S in enzimi simili alla luciferasi come questo, che simultaneamente aumenta l’attività della luciferasi e promuove l’emissione di una luce blu potrebbe quindi aver avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione della bioluminescenza. Attraverso la combinazione della mutazione I327T/S e una fusione N-terminale, l’attività luminescente di questo enzima è aumentata sotto gli occhi dei ricercatori fino a livelli ben visibili, sviluppando una nuova luciferasi arancione.
Veri e propri fuochi d’artificio in laboratorio che in natura scoppiettano nei nostri prati da milioni di anni.
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