16
Dic

Ascolta: ci stiamo evolvendo!

Un gruppo di entomologi descrive per la prima volta in minutissimo  dettaglio il sistema uditivo di una cavalletta, evidenziando le diverse strutture e le funzioni. Quello che ne esce è uno straordinario esempio di evoluzione convergente con animali estremamente diversi: i mammiferi.

Testo e foto di Roberto Battiston

Ascoltare un suono od una melodia è per la maggior parte di noi un fenomeno automatico, immediato e diretto. L’orecchio umano in realtà è un organo estremamente complesso che deve non solo ricevere il suono (catturandolo magari con un bel padiglione auricolare), ma trasformare poi l’onda sonora, nel nostro caso identificabile con una vibrazione trasmessa di un mezzo gassoso (l’aria), in uno stimolo meccanico adatto ad essere poi tradotto in un impulso nervoso, interpretabile dal nostro cervello. Per fare tutto questo processo servono numerosi strumenti: un timpano che vibra a seconda dell’aria che lo sfiora (ricezione del suono), un sistema di ossicini che tamburellando su di una seconda membrana adattano la frequenza di oscillazione del timpano per propagarla in un mezzo fluido contenuto nella coclea (impedenza del suono), ed un insieme di cellule abili a catturare gli stimoli meccanici del fluido e a trasformarle in impulsi nervosi comprensibili (analisi della frequenza). La complessità e la straordinaria efficienza di quest’orchestra di strumenti, costruiti con un lunghissimo percorso, ci permette di apprezzare la bellezza di una sinfonia in un teatro, il fruscio delle foglie in autunno od il canto di un grillo in estate. Siamo dunque animali privilegiati? Questo è poco ma sicuro, ma non siamo i soli ad esserlo visto che il fatto stesso che un grillo canti significa che non solo conta di essere sentito da un altro grillo, ma anche che il suo canto venga ben interpretato e si tramuti in una notte d’amore con una femmina della sua specie. Se il sistema auditivo degli uomini ed in generale quello dei mammiferi è abbastanza conosciuto, quello dei grilli lo è decisamente meno. Un team di ricercatori dell’Università di Bristol ha da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista Science il risultato di un interessante studio che mette finalmente in luce quali strumenti utilizza un ortottero (in questo caso la cavalletta tropicale Copiphora gorgonensis dotata di uno tra i più piccoli orecchi conosciuti, di appena mezzo millimetro) per catturare ed analizzare i suoni dell’ambiente. Nonostante insetti e mammiferi siano separati da centinaia di milioni di anni di storia evolutiva e siano chiaramente diversissimi nelle forme e nei messaggi sonori che possono scambiarsi, il risultato è stato una successione di passaggi e strumenti estremamente simile a quella sopra descritta per l’uomo. Anche le cavallette hanno un timpano che vibra con l’aria (che nel caso della Copiphora è situato vicino al ginocchio della zampa anteriore), non hanno ossicini timpanici che convertono la frequenza ma possiedono una placca timpanica di funzione analoga, che trasforma e convoglia le vibrazioni in un contenitore unidirezionale di fluido incomprimibile, pieno di meccanocettori, che ricorda moltissimo la nostra coclea. Certo le frequenze  emesse sono spesso ultrasoniche e forse inudibili dalla maggior parte dei mammiferi se non in quella piccola porzione di spettro sonoro che ci delizia nelle sere d’estate, ed i messaggi inviati seguono schemi profondamente diversi, ma gli strumenti utilizzati per l’appunto non cambiano poi molto.

Replicare passo passo la complessità dell’orecchio dei mammiferi (o viceversa) in animali che nulla con essi hanno a che fare, può sembrare un caso incredibile oppure una fortunata eredità di un antenato comune preservata nel corso di centinaia di milioni di anni. E tuttavia poco probabile che l’antenato comune di cavallette ed esseri umani, disperso forse nei fondali oceanici del Cambriano, avesse un qualche orecchio e soprattutto un orecchio come questo, adatto ad analizzare suoni trasmessi nell’aria. Anche perché ricordiamoci che il nostro orecchio si è formato modificando le arcate brachiali dei nostri antenati pesciformi, che le usavano ovviamente per ben altri scopi. Quello che  Montealegre e colleghi si sono trovati davanti con la Copiphora gorgonensis è un meraviglioso esempio di convergenza evolutiva, ossia una convergenza funzionale di strutture di origine diversa che si modificano nel tempo fino a formare strumenti simili, per risolvere il medesimo problema.

Questa scoperta ci permette di fare alcune interessanti riflessioni sui meccanismi con cui opera l’evoluzione stessa. Ricordo un’interessante lecture che fece il celebre evoluzionista Richard Dawkins qualche anno fa al Museo di Storia Naturale di Milano, in cui si chiese se l’evoluzione, spesso vista in modo semplicistico come processo caotico e disordinato, fosse mai prevedibile. La risposta che diede fu in un certo senso positiva, presentando vari esempi di organi, sensi e strategie comparsi più volte nella storia della vita, e che molto probabilmente compariranno di nuovo perché utili ad abitare questo particolare pianeta terra, tra i quali appunto l’udito. Ecco quindi un’altra bella prova della prevedibilità dell’evoluzione: se si vuole parlare a qualcuno su questo pianeta (e parlare è senz’altro un’ottima strategia sociale!), bisogna costruire un orecchio per ascoltare. Non importa se la storia evolutiva non ci ha dato una staffa o una coclea, dobbiamo in qualche modo trasformare la vibrazione dell’aria in un impulso nervoso con quello di cui disponiamo e dobbiamo farlo nel migliore dei modi possibili o sarà solo fatica sprecata. A quanto pare il modo migliore è uno solo ma ci si può arrivare seguendo strade diverse.

Ma strutture così rassomiglianti creano un altro interessante  spunto di riflessione. Orecchi simili ci permettono di ascoltare suoni simili e quindi le conversazioni di altre specie. Questo è forse un vezzo per chi voglia deliziarsi di un concerto di grilli in una sera d’estate, ai quali poco importa se ci intromettiamo voyeuristicamente nella loro vita amorosa. E’ invece una garanzia di sopravvivenza per un insetto che sia in grado di ascoltare gli ultrasuoni emessi da un pipistrello in caccia, come accade ad esempio in alcune falene. E se la falena riesce a sentire l’avvicinarsi di un pipistrello, per il pipistrello questo è un grosso problema di sopravvivenza. Il piccolo mammifero alato dovrà cercare di raffinare la propria strategia di caccia per non farsi ascoltare e cambiare i suoni, magari diversificando le frequenze o il modo in cui le emette, in quella che gli evoluzionisti chiamano corsa agli armamenti. Ben lo sapevano i crittografi militari che in tempo di guerra inventavano codici, parole e strumenti per comunicare con gli amici senza essere ascoltati dai nemici, mentre questi si adoperavano per decodificare e costruire “orecchi” artificiali in grado di sentire tutto.

Magari i grilli erano là ad ascoltarli e si facevano grasse risate.

 

 

Per approfondire:

Fernando Montealegre Zapata, Bjorn Thorin Jonsson, Katharine A Robson Brown, Matt C Postles, Daniel Robert ‘Convergent evolution between mammalian and insect audition’, Science, 338, (pp. 968-971), 2012. ISBN: 00368075

Share and Enjoy: Queste icone linkano i siti di social bookmarking sui quali i lettori possono condividere e trovare nuove pagine web.
  • email
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • LinkedIn
  • Live-MSN
  • Twitter
  • YahooMyWeb
© Copyright 2010-2023 ENTOMON. All rights reserved. Created by Dream-Theme — premium wordpress themes. Proudly powered by WordPress.